L'intervento del Presidente Falcioni
Nel salutare le maestranze della Coalac, cui va la nostra solidarietà per questo situazione, preciso che avrei volentieri evitato convocare un consiglio aperto, oppure l’avrei fatto per affrontare ben altri problemi che riguardano questo territorio.
Ed il primo quesito che qualcuno può porre è perché convocare un consiglio per discutere,e credo stigmatizzare, sulla predisposizione di una strategia aziendale che la cooperativa Cooperlat sta maturando, o peggio ha maturato, all'interno del proprio Consiglio di Amministrazione, tendente a chiudere il "polo del latte fresco" che insiste nello stabilimento di produzione della Coalac di Ascoli Piceno. Strategia approvata dal Consiglio di Amministrazione dello scorso 19 dicembre, che prevede un “piano industriale” a tal fine finalizzato.
Non solo perché la Coalac è nata negli anni ‘80, non solo perché è stata vitale per l'entroterra piceno, perché è servita a tenere in vita una zootecnia locale, in particolare quella della produzione del latte e perché, poi, ha saputo evolversi in quella della trasformazione, conservazione e commercializzazione sia del latte fresco, dei suoi derivati e dei sottoprodotti del caseificio.
Non solo perché è stata fondamentale per la sopravvivenza di piccole stalle di produttori marginalizzati nelle zone montane e medio collinari, svantaggiate sia economicamente che in termini di infrastrutture civili, soprattutto viarie.
Perché, pur essendo solidali con altre difficili situazioni, su drammatiche chiusure di fabbriche, con nostri concittadini a convivere con cassa integrazione, mobilità, espulsione dal lavoro, situazione sulle quali il consiglio provinciale di Ascoli Piceno, mostrandosi unanime, ha dedicato sedute aperte e l’amministrazione si è spesa anche ben oltre le proprie competenze e possibilità, questa è una situazione diversa dalle altre. In questi anni abbiamo assistito, spesso impotenti, a chiusure di fabbriche perché figlie, per lo meno a così dire, di globalizzazione, politiche internazionali, opportunismi, crisi reali e permettetemi anche pochi incentivi da parte dei governi nazionali al sostegno delle imprese.
Questa è una situazione diversa, completamente diversa, ecco perché merita una attenzione particolare.
Primo perché ci troviamo di fronte ad una attività che non vive di particolari assilli finanziari, è una azienda sana che rappresenta il baluardo del late fresco delle Marche, anzi è il conferitore del latte fresco delle Marche. Quindi non esiste un assillo economico.
Secondo, e non di importanza che, dopo i vari discorsi sulla politiche della Casmez che hanno portato qui imprese che avevano la produttività nel piceno ma la testa, ed il cuore che credo debba sempre esistere in una logica di impresa, altrove,qui assistiamo ad un depotenziamento di una azienda locale, che vive di maestranze locale e che permette la logica dell’esistenza di 100 aziende agricole picene ed aprutine, ma come sapete per il rapporti socio economici e geografici , piceno ed aprutino spesso fanno lo stesso. La Coalac fa parte della storia recente di Ascoli e del suo circondario, ha fatto epoca nel bancone dei supermercato locali, è entrato nell’immaginario collettivo come il nostro latte fresco. Quindi, oltre all’aspetto economico, sociale, indiscutibile, esiste quella ferita legata al senso di appartenenza, quell’aspetto passionale e romantico che dovrebbe pervadere ogni amministratore locale, primo ambasciatore del territorio, di qualunque colore sia, nello sposare legittime lotte per la propria terra e per gli attori di essa.
Terzo, e non ultimo, è che questa battaglia si gioca non in una visione planetaria, ovvero, come dicevo figlia di equilibri internazionali che sfuggono alla nostra logica. Qui la partita si gioca tutta nell’ambito locale, o meglio regionale e quindi acuisce la ferita, aumenta la rabbia, perché oltre a non vedere logiche economiche per la sanità finanziaria della Coalac, intravediamo un film che negli ultimi è passato di fronte ai nostri occhi più volte.
Insomma, voglio dire, che riemerge, riesuma quel distacco Piceno-Marche che mai avremmo, e mai vorremmo sottolineare.
Questa è forse la ferita più grande.
E’ vero che siamo una provincia di confine, ed anche la situazione Coalac lo attesta, e quindi abbiamo necessità di logiche particolari, di politiche a parte, abbiamo una realtà socio economica diversa, esigenze diverse ma siamo stati, e lo siamo, pur sempre marchigiani. Anzi andiamo oltre. Spesso il Piceno, con i suoi simboli, tiene alto il nome delle Marche lo qualifica, lo inorgoglisce, rende preziosa questa regione.
Poi accadono questa vicende, come quella della Coalac, mortificata in nome di logiche di alrti territori della Regione che penalizzano una azienda sana picena, e quindi marchigiana, a favore poi di altre realtà che di marchigiano hanno poco o nulla.
Ecco perché di fronte a queste situazioni riemergono furori mai sopiti a partire dalla notte dei tempi con la facoltà di agraria, trasferita quasi nottetempo, per arrivare alla divisione della provincia, dove si spesero tutti quelli che si potevano spendere, fino ad arrivare alle risorse della sanità dove capoluogo e riviera patiscono sia i balletti dirigenziali sia le politiche, inique, rispetto alla realtà regionale di tagli.
Per tacere delle infrastrutture. A pochi chilometri da qui assistiamo all’opera viaria più importante, dal punto di vista dell’impegno finanziario, d’Italia dove sono state impegnate risorse mastodontiche per collegare Marche ed Umbria. Poi ci sono programmi per la Fano-Grosseto, lo svincolo per il porto ed altro.
Sotto Macerata tutto tace ed anche gli amici fermani, tanto indaffarati a creare due debolezze, dovrebbero riflettere in merito.
Qui per andare verso la capitale dobbiamo ringraziare i nostri vicini di casa abruzzesi che permettono di raggiungere Roma in una ora e 45, nonostante una Ascoli Teramo dei tempi di Garibaldi, e fra poco potremo riprendere una impercorribile Salaria, ma solo grazie ai nostri cugini di casa reatini.
Ecco perché capite tanta amarezza e tanta rabbia di fronte alla situazione della Coalac, che tra l’altro, andando a toccare proprio il settore primario dove l’ascolano eccelle, e non occorre ricordare queste colline tutte coltivate, le vigne, gli olivi, le castagne i tartufi ed appunto i pascoli.
Insomma ci toccano proprio su quello in cui più teniamo, quello che sentiamo più nostro. Ecco perché ho, insieme ai capigruppo che ringrazio per il sostegno insieme alle forze politiche locali tutte, deciso di convocare questo consiglio.
Perché essendo una questione prettamente regionale, quasi assistiamo ad una deascolizzazione o depicenizzazione delle Marche. Non lo vogliamo pensare ma ci sforziamo di non pensarlo. E neppure possiamo coprire di responsabilità i nostri rappresentanti in loco, non sarebbe neppure giusto additare all’assessore di turno perché questi ha deleghe su tutto la regione, perché questo è figlia di una problema culturale, ha una radice più profonda della corrente politica di turno.
Ci rivolgiamo però a chi giocoforza rappresenta l’identità regionale perché questi deve dar prova che essa sia una regione e non un appiccicato, scusate il vernacolo ma talvolta è più producente, insieme di tante parrocchiette che vanno per conto proprio. Chiediamo proprio alla Regione come istituzione di esprimersi come lo chiederemo a breve se nella tanto declamata riforma delle province non intenda riconosce ad Ascoli ed alla vallata del Tronto un ruolo centrale per la dislocazione degli uffici amministrativi dello Stato. Il precedente, recente, declassamento della sede INAIL di Ascoli a favore di altri siti ci fa tremare i polsi.
Ecco perché chi parla è stato ed è da sempre profondamente preoccupato di questa distanza di cui la vicenda Coalac è l’ultimo, per giunta contraddittorio dal punto di vista economico, esempio.
Ecco perché ci attacchiamo alla nostra azienda storica del latte come a quegli sfrattati cui, portando via mobili ed affetti, stanno togliendo i ricordi di una vita.